Africa mia di Dino Azzalin
Da RMFOnline
Che dire? Quando si torna da un viaggio se ne ha una immediata nostalgia. Di qualcuno? Di qualcosa? Di un clima? Sì, forse un po' di tutto questo ma di più della libertà e di una umanità che solo in Africa si può sperimentare.
La cosa più odiosa per me è dover rispondere alle domande, dove sono stato, che cosa ho fatto, chi ho incontrato, se ho fatto l'antimalarica, che cosa ho mangiato, dove ho dormito ecc. Ma in assoluto quello che mi dà più fastidio è dovermi rimettere le scarpe. Chiudere i piedi al buio e stretti da due pareti di cuoio è davvero triste e crudele, in un'altra vita devo aver vissuto da queste parti, Lucy non mi è mai sembrata così vicino, così come mi chiamano in Italia, l'africano bianco, o da queste parti invece: The bishop of dentist.
Ma che cosa ci sono andato a fare in posto sperduto nell'altopiano della Tanzania, coi volontari Cuamm-Apa Alessandra Di Stefano, tesoriera del Cuamm Varese, con Veronica Bano volontaria di Arcisate, Silvano e Jacopo Molinari, chirurgia generale di Rivanazzano Terme.
Tutto è cominciato nell'inverno del 2015, quando per la prima volta mio figlio Riccardo ha deciso di accompagnarmi in una delle tante missioni in Africa, allora, ero ancora in carica come presidente Cuamm-Varese, una ong che opera in Africa da 60 anni, con progetti sanitari dell' "Ultimo miglio" per il miglioramento della salute materno-infantile e l'assistenza al parto nel Continente nero.
L'ospedale di Tosamaganga è una realtà rurale a 500 km da Dar Es Salaam in Tanzania, dove i sanitari locali sono affiancati da medici italiani e specializzandi che lavorano per il Cuamm, nel progetto "Prima le mamme e i bambini" rivolte alle donne africane per un parto protetto e sicuro. Ho fatto visita anche allo studio dentistico dell'ospedale che ho trovato di una povertà desolante sia di beni strumentali sia di materiali odontoiatrici, e mentre mi trovavo li, è arrivata una ragazza poco più che una bambina in procinto di partorire e che, in preda a un terribile mal di denti, mi implorava di fare qualcosa.
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